Relazione ‘economica’ della Toscana al tempo del granduca Cosimo II (1)

Il regno in Toscana di Cosimo II dei Medici ebbe durata breve – dal 1609 al 1621 – ma fu pacifico e prospero, favorito dalla quasi assenza di guerre (quella di Trent’Anni si svolse dal 1618 al 1648) e dal controllo delle finanze pubbliche ancora non fallite e gravate da quella corruzione che danneggiò tanto il governo degli ultimi granduchi.
Bene amministrato, l’erario si trova ricordato nella sua consistenza in una Relazione riportata su alcune pagine di un manoscritto dedicato agli avvenimenti principali della casata. Inizia con:

Relazione di Toscana in tempo del gran duca Cosimo – 4°
Il serenissimo Cosimo de’ Medici gran duca di Toscana possiede la maggiore e miglior parte di questa provincia, possedendo ancora una parte della Romagna, nominata la Romagna fiorentina [in essere fino al 1923. Comprendeva Bagno, Castrocaro, Modigliana e altri comuni oggi provincia di Forlì-Cesena].
Nell’Umbria la città de Borgo a San Sepolcro con sette miglia di territorio.
Nel mar Tirreno l’isola del Giglio, della Gorgona, lo scoglio della Meloria e nell’Elba porto Ferraio co’ la città di Cosmopoli [Portoferraio] che è un miglio di cir(c)uito.
Tutto questo stato è composto da tre repubbliche, cioè Firenze, Pisa e Siena.
Per lo stato vecchio, quale comprende la republica di Firenze et di Pisa, sua altezza reale dice principe assoluto havendo queste due republiche ottenuta la libertà da’ diversi imperatori.
Per lo stato nuovo che comprende il ducato di Siena e la Marsiana [Marsiliana] nelle Maremme.
L’Elba la tiene in feudo nobile legio [sic] et honorevole dalla corona di Spagna.
Radicofani con le terre vicine tiene sua altezza in vicariato perpetuo dalla sede apostolica come già faceva la republica di Siena.
La terra de Saturnia posta nelle Maremme di Siena tenuta in feudo dalla Badia delle Tre Fontane [di Roma] altrimenti detto di Santo Nastagio [donazione di Carlo Magno in ossequio a Sant’Anastasio].
Filattiera con alcuni altri marchesati del Unigiana [Lunigiana] | che già appartenevono a’ marchesi Malespini tengono in feudo dall’Imperio.
La città del Borgo a San Sepolcro perché fu in pegnata dalla Chiesa alla republica fiorentina per certa somma di danari, pretendano i pontefici la recuperatione di quella et però il commessario della camera la vigilia di San Pietro, chiama questa città per suddita della Chiesa, ma per non venire all’arme, si rimangono con questa sola pretensione.

Nelli detti stati vecchio e nuovo sono diciotto città di vescovado comprendendovi Fiesole città antica ma desolata.
Le città dello stato vecchio sono Firenze, Pisa, Pistoia, Cortona, Arezzo, Volterra, Monte Pulciano, Borgo San Sepolcro, Colle, Fiesole, San Miniato al Tedesco.
Nello stato nuovo Siena arcivescovado, Montalcino, Pienza, Chiusi, Massa, Sovana, Grosseto, et di più alcune terre nobilissime et ricchissime come Prato, Empoli et Pescia, che vagliano ciascuna de loro quanto una città havendo il paese fertile et gl’habitatori ricchi.
[Anche oggi Prato, Empoli e Pescia sono città di tradizione industriose e abbienti].
Tutto lo stato, città e castella sopra nominate fanno in tutto secondo la comune opinione un millione d’anime mi.a et già fu maggiore il numero inanzi alle carestie.
[Cfr. il censimento 2022 che assegna alla Toscana più di 3.600.000 abitanti].

La natura di questo paese, ancor che in qualche parte sia sterile per cagione delle montagne, niente di meno | per l’industria degli agricultori soleva nutrire tutti gl’habitatori di grano, vino, olio, sale et altre cose necessarie, ma da qualche anno in qua, per l’influenza de’ cieli, inondatione de’ fiumi e povertà degli agricultori, è stato costretto sua altezza a provedere da’ paesi stranieri quantità di grano come ancora delle carni di castrato.
Del vino et olio ne ha sempre hauto raguagliatamente al bisogno.
Il pesce, pollami, lino e canape conviene che questo stato si proveda dagl’altri vicini. Rendono detti stati per l’ordinario un millione di scudi di entrata l’anno chi arà chi guida.

Il ducato di Siena è grasso paese et manco gravato che quello di Firenze per privilegi ottenuti quando si sottoposero al gran duca Cosimo primo: rende d’entrata l’anno scudi 300 mila compresovi il marchesato di Castiglione [della Pescaia], il quale comperò la duchessa Eleonora di Toledo, moglie del gran duca Cosimo primo, dalla signora Silvia Piccolomini per scudi 30 mila et si cava fuori scudi 300 mila.
Lo stato vecchio se calcula alla somma di scudi 700 mila a l’anno le quali entrate derivano da quattro fonti principali”.

Seguono in dettaglio le “quattro fonti principali”. In sunto sono:
– La gabella delle macine, cioè una tassa calcolata a soldi per staio di grano o di biade, e il dazio della carne = 200.000 scudi l’anno.
– La gabella del sale, “la metà di questa entrata pagano gli osti, albergatori, cameranti, vinattieri et grecaiuoli [venditori di vino greco]. Pagano corrieri a recognitione al detto sale, maestri di poste, procaccia e postieri le misure de’ barili, fiaschi, boccali, mezzette et quartucci con molte altre minutie che con l’entrata del popolo” = 200.000 scudi l’anno.
– La gabella dei contratti delle doti, eredità, acquisto di beni = 100.000 scudi l’anno. – L’entrata delle porte, dogane e passi a diverse tariffe secondo i luoghi “non ostante che el tutto appartenga a un sol principe” = 250.000 scudi l’anno.

A ciò la Relazione aggiunge le entrate di Siena per un totale di un milione di scudi l’anno.

Invece le entrate straordinarie “che nascano da certe industrie et risparmio, nascono da sessantadue magistrati che sono nella città di Firenze, e quali avanzi e risparmio non si facevano al tempo della repubblica per diversi rispetti [privilegi concessi]”.
Erano in breve: il magistrato delle Decime, la Zecca, le pene, le condanne e confische, l’utile dagli ebrei – che vivevano nello stato (poca entrata) e soprattutto quelli di Spagna e Portogallo che ottenevano privilegi e facevano donativi –, la concessione di feudi, l’entrata dell’appalto di Porto Ferraio ovvero le miniere del ferro nell’isola d’Elba un tempo dei signori di Piombino, le imposte straordinarie “per riparo de’ fiumi” o altro, le entrate dei beni stabili del granduca e di casa Medici, dei beni nel Regno di Napoli, di quelli del “principato di Capestrano posto nella provincia dell’Abruzzo il quale già apparteneva a don Antonio figlio naturale del gran duca Francesco”, un credito di 250.000 scudi “pagò a’ signori Fuccheri [i banchieri Fugger] di Germania che gl’assegnorno tanto credito di Monte a 8 per cento” e un altro credito 200.000 scudi “dal re di Spagna per la dote della granduchessa Maria Maddalena”.
Nella stessa Spagna il granduca godeva di altra entrata dovuta a quanto comprato dalla duchessa Eleonora moglie di Cosimo I.

Alla fine di questa parte della Relazione si scrive:
“Si calcula che l’entrata del granduca importi un millione e cinquecento mila scudi l’anno” (che era una cifra cospicua).

(continua)

Paola Ircani Menichini, 29 novembre 2024. Tutti i diritti riservati.




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